DARKSTALKERS: THE NIGHT WARRIORS

GENERE: Beat'em Up | PRODUTTORE: Capcom | SVILUPPATORE: interno | GIOCATORI: 1-2 | ANNO: 1994
Che estate, quella del 1994. Un'estate bollente. Anzi, di più: infernale. Ad alzare la temperatura, oltre alle notti magiche del mondiale organizzato nella patria del Grande Supermarket, c'erano almeno altri due elementi, soprattutto per chi si rovinava la gioventù davanti ai trastullanti videogiochi. Da una parte le sirene delle imminenti macchine a 32 bit, la rivoluzione poligonale che prometteva un coin-op dell'ultima generazione in ogni salotto. Dall'altra l'ultima infornata di giochi per Mega Drive e SNES, spremuti fino all'ultimo bit per proporre esperienze in grado di dissuadere i consumatori dall'effettuare il costoso salto in avanti. E, al di sopra di tutto ciò, quasi come un demiurgo potentissimo ma impassibile, c'era Darkstalkers.

L'attesa per un nuovo ed inedito picchiaduro ad incontri Capcom, dopo la trasformazione di Street Fighter 2 in icona generazionale e le prestazioni non certo esaltanti della seconda generazione di schede CPS da poco introdotte sul mercato, era quasi spasmodica. Un'attesa ripagata in pieno quando, all'improvviso, le sale giochi più all'avanguardia accolsero tra le loro puzzadifumiche mura l'ultima fatica della celebre casa di Osaka. Bastava osservare solo la spettacolare introduzione per rendersi conto di come tutto ciò che era venuto prima diventasse di colpo vecchio, consunto, inutile. Pochi secondi per spazzare via i dubbi che i vari Alien vs Predator ed Eco Fighters avevano gettato sul nuovo hardware. Una manciata di istanti e ci si ritrovava risucchiati in un mondo ideale, dove lo spettacolo era la regola piuttosto che l'eccezione che la conferma. Darkstalkers era il sogno di ogni bambino paffuto e di ogni adolescente cresciuto assieme a Ryu con Smells Like Teen Spirit dei Nirvana sparata a palla nelle cuffie del walkman.

Quei fondali, così mostruosamente dettagliati, così suggestivi, con decine di livelli di parallasse ed una scelta dei colori da orgasmo multiplo, sembravano provenire da un'altra dimensione. Quella velocità incredibile, che trasformava ogni partita in un viaggio senza cinture sulle montagne russe, dimostrava inequivocabilmente la schiacciante superiorità tecnica del gioco. Ma il piatto forte, la caratteristica in grado di provocare il definitivo slogamento (con relativo distacco) della mascella, erano le animazioni. I dodici protagonisti si muovevano con una fluidità ed una naturalezza inarrivabili per qualsiasi altro videogioco presente sull'orbe terracqueo. Centinaia e centinaia di fotogrammi a descrivere movimenti ora letali, ora protettivi, ora parodistici ma sempre in grado di restituire una strabiliante sensazione di vitalismo. Erano ovunque le animazioni in Darkstalkers, dalla schermata di selezione del lottatore agli sfondi, vere e proprie parate di oggetti, personaggi ed eventi meravigliosamente dinamici. Un risultato complessivo che, esaltato dalla stereofonia del Q-Sound, dava realmente quel tanto cercato assaggio di futuro a chi vi si avvicinava. Darkstalkers era il gioco perfetto per quel preciso momento storico. Un'orga di meraviglie estetiche e ludiche che rivendicava con inascoltata veemenza la modernità e la centralità del picchiaduro bidimensionale in una fase di passaggio al termine della quale il genere sarebbe stato relegato in un angusto ghetto.

Ghetto che Darkstalkers inaugura in maniera comunque trionfale. La scelta di un'ambientazione assolutamente originale nell'ambito del genere (l'Europa del diciannovesimo secolo, con i più famosi mostri della tradizione continentale impegnati a darsele di santa ragione) ha consentito ai grafici Capcom di portare a compimento con notevole successo un'ambiziosa opera di rielaborazione estetica di canoni espressivi radicalmente distanti dalla propria tradizione. Il risultato regala ai posteri personaggi straordinari, graziati da un carisma dirompente e descritti, più che da chilometrici dialoghi, da semplici ma efficacissimi movimenti, dando vita ad una indimenticabile antologia del grottesco in salsa nipponico-fumettosa.

Ma Darkstalkers non è solo travolgente spettacolo audiovisivo, perché anche le sue meccaniche sono praticamente perfette. Capcom, infatti, vi infuse tutta la sua storica maestria, creando un videogioco incredibilmente profondo e divertente. La struttura portante è quella, inattaccabile, di Street Fighter 2, solo ulteriormente arricchita, affinata e modernizzata. Ci sono più mosse, è possibile parare in volo, è presente un semplice ma ottimo sistema di contrattacchi e le combo sono molto più importanti, complete e spettacolari. Una serie di accorgimenti, questi, che regalano varietà e spessore senza sacrificare l'accessibilità e la godibilità anche per chi in genere si ferma alla singola partita occasionale, per un risultato finale che rende il titolo uno dei più esaltanti picchiaduro bidimensionali mai realizzati.

Nell'estate del 1994, Darkstalkers era un gioco in grado di catalizzare più attenzione di una gara di ragazze con maglietta bagnata nella piazza di un paesino di duecento abitanti. Sbavare sulle foto che con diabolica regolarità apparivano su Super Console e Game Power era oramai un'abitudine, cosi come lo era fantasticare su una ventilata conversione casalinga. Conversione che purtroppo arrivò con quasi due anni di ritardo, in esclusiva per PS-X e non così perfetta come si sperava, massacrata com'era da caricamenti elefantiaci, rallentamenti a iosa e animazioni mestamente tagliate. Poco importa però, perché la grandezza del gioco rimane, impressa nei secoli dei secoli.
Amen.
Andrea Corritore
Darkstalkers

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