IT CAME FROM THE DESERT

GENERE: Adventure | PRODUTTORE: Cinemaware | SVILUPPATORE: interno | GIOCATORI: 1 | ANNO: 1989
Per un videogiocatore moderno, abituato ad essere preso per mano e premurosamente accompagnato per tutta la durata dell'avventura in cui si cimenta, l'impatto con It Came from the Desert è sconcertante. Nessuna sezione d'allenamento per apprendere le basi delle meccaniche, niente indizi su cosa fare o su dove andare, neanche su quale possa essere l'obiettivo stesso del gioco. Solo una mappa ed un puntatore, che brilla impaziente di svolgere il suo compito, mandando nel panico più completo chi si trova al di qua dello schermo. It Came from the Desert, infatti, è uno di quei pochi giochi in cui la lettura del manuale non è consigliata, è indispensabile.

Ma è una fatica ben ricompensata. Il premio per chi resiste e si cala nei meandri dell'opera diretta da David Riordan è infatti uno dei più grandi capolavori degli anni Ottanta e, più in generale, un riuscitissimo approccio alla narrazione interattiva. Un gioco che, considerate le idee che lo caratterizzano, si pone come pietra miliare nel campo non dei soli titoli d'avventura, ma anche di tutte quelle produzioni che fanno di una trama cinematografica il loro punto di forza. Un pout-pourri di generi e trovate a dir poco geniale, ispirato ai classici B-Movies di fantascienza degli anni Cinquanta, quelli con i mostri più assurdi e terribili che dovevano esorcizzare le paure post-belliche di un decennio terrorizzato dalla guerra fredda.

Villaggio di Lizard Breath, giugno 1951. La vita scorre placida in una cittadina come ce ne sono tantissime, ai confini del deserto. Almeno fino a quando un meteorite precipita appena fuori città, causando stranezze a non finire. Compito del giocatore, nei panni del geologo Greg Bradley, indagare e scoprire cosa stia succedendo. Gli spostamenti da una locazione all'altra avvengono attraverso una mappa con visuale dall'alto, mentre i dialoghi con i personaggi sono automatici, con la classica serie di possibili risposte che appare nella parte bassa dello schermo. Di tanto in tanto, a seconda delle azioni di Bradley, ci si deve cimentare in numerose sequenze d'azione, tutte diverse e discretamente godibili, che fungono da sapido e necessario diversivo. Ed è al loro interno che compaiono loro, le formiche mutanti aliene.

Che rappresentano il perno attorno a cui ruota It Came from the Desert. Gigantesche, ripugnanti, pericolosissime, possono apparire senza preavviso in qualsiasi posto e lo scoprire le prove della loro esistenza per convincere il sindaco a mobilitare l'allarme generale è l'obiettivo della prima parte del gioco. Ed il suo conseguimento può avvenire in una quantità di modi che ha dell'incredibile. Perché It Came from the Desert è assolutamente non lineare. Ogni scelta porta a conseguenze differenti, con alcuni eventi chiave che si sbloccano arrivandovi da strade alternative. Ogni partita è veramente diversa dalla precedente, la varietà di situazioni è notevole ed ogni giocatore può affrontare la minaccia come meglio crede, fermo restando il fattore tempo. Per eliminare i mostri, Bradley ha a disposizione quindici giorni che scorrono in tempo reale (ogni minuto corrisponde ad un secondo "vero"). Ogni volta che ci si muove da un posto all'altro, che si parla con qualcuno, che si viene feriti e costretti ad una degenza in ospedale, l'orologio va avanti inesorabilmente. Ma il cronometro incide anche sulle dinamiche di Lizard Breath. I cittadini hanno una propria vita, regolata secondo i ritmi e gli orari più comuni ed il sapervi interagire in maniera ottimale è una delle chiavi per addentrarsi sempre più nei meandri della vicenda. La complessità che regola il principio di "causa-effetto" è garantita da decine di variabili. I colpi di scena e le situazioni memorabili nelle quali si viene catapultati non mancano. Ed il risultato è un'incredibile sensazione di libertà. Una meravigliosa illusione di poter agire come e quando si vuole, aggirando i limiti del proseguimento su binario. Ed una rigiocabilità ovviamente imparagonabile tanto con quella dei contemporanei quanto con quella di giochi più moderni.

C'è però un altro elemento che rende It Came from the Desert un'opera unica: l'atmosfera. La pesantissima ed inquietante colonna sonora, la caratterizzazione delle ambientazioni e dei personaggi, con i loro ruoli stereotipati (lo sceriffo burbero, il sindaco che non vuole rogne per la fiera della contea, i contadini sospettosi, la radio Country, i bulli dal capello impomatato) ed il clima di opprimente tensione, rendono l'esperienza memorabile. I tempi drammatici perfetti, i dialoghi brillanti e la splendida ricostruzione dell'assolata provincia americana dell'epoca, fanno il resto, consegnando ai posteri un'opera che gioca con le emozioni di chi la affronta, che diviene un soldatino di plastica in balia dello spettacolo messo in scena dalla storica compagnia statunitense.

It Came from the Desert è un visionario capolavoro le cui intuizioni non sono purtroppo state riprese in futuro. Piuttosto che usare il linguaggio cinematografico per raccontare il videogioco, come magistralmente fa il titolo Cinemaware, si è preferito copiare bovinamente la settima arte, con risultati che mortificano quello che è il cuore stesso del divertimento interattivo: il ruolo chiave del videogiocatore.
Andrea Corritore
It Came from The Desert

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