MERCS

GENERE: Shoot'em Up | PRODUTTORE: Capcom | SVILUPPATORE: interno | GIOCATORI: 1-3 | ANNO: 1990
Quando eravamo re, nessuno poteva fermarci. Bastava evocare il nostro nome e la paura serpeggiava lungo la schiena dei nostri nemici. Non fallivamo nessuna missione. Non risparmiavamo nessun avversario. Ci chiamavano Mercs, ma ho sempre preferito il modo in cui, con rispetto e terrore mescolati assieme, si riferivano a noi in oriente: Senjo no Okami, i lupi del campo di battaglia.

Mi chiamo Jospeh Gibson. Per anni ho servito fedelmente la mia patria arruolandomi nei berretti verdi. Mi avevano soprannominato Super Joe. Ma dopo quella maledetta ultima volta, nel 1985, decisi che l'esercito non faceva più per me. Non mi è mai piaciuto eseguire gli ordini. Soprattutto quando non tengono conto della cruda realtà di guerra. Mi congedai con tutti gli onori ed avviai la mia piccola ma remunerativa attività privata insieme a due vecchi amici conosciuti sotto le armi, Howard Powell e Thomas Clarke. Facevamo l'unica cosa che abbiamo sempre saputo fare: uccidere. E' per questo che diventammo re. Come quella volta, in Africa centrale. Era la primavera del 1990. L'ambasciatore americano nel piccolo paese di Zutula venne rapito da un gruppo di guerriglieri durante un tentativo di colpo di Stato. Lo zio Sam non poteva intervenire direttamente. Le Nazioni Unite non glielo avrebbero mai permesso. Per questo cercarono noi. Eravamo quelli che risolvevano i problemi. Lo sciacquone con cui scaricare la merda nascosta dell'imperialismo occidentale.

Ed eccoci là: tre re senza regno al soldo di un potere più grande, pronti a far saltare in aria tutto quello che incontrano sul proprio cammino. La campagna stavolta non fu la solita passeggiata. La sua enorme difficoltà ci costrinse a restare sempre concentratissimi. Ed io lo fui talmente tanto da avere la sensazione di uscire dal mio corpo e vedere quello che succedeva dall'alto, con un'ampia visuale capace di consentirmi la comoda individuazione di tutto ciò di cui avevo bisogno. E la distruzione sistematica di tutto il resto.

Il nostro ostaggio lo trovammo al termine di sette lunghe e pericolose missioni, tutte estremamente varie e con le proprie insidie peculiari. Arrivarci non fu facile. Eravamo noi tre contemporaneamente contro il mondo. Ci coprivamo le spalle a vicenda e l'intensità dell'azione era così furiosa da non lasciarci un attimo di respiro. La diversificazione delle truppe ribelli ci costringeva a formulare strategie non lineari per sgominarle. Il loro numero ci imponeva l'utilizzo di tutta la potenza di fuoco che riuscivamo a maneggiare. E se inizialmente la frustrazione era tanta, man mano che prendevamo confidenza con le caratteristiche degli avversari e con quelle del campo di battaglia ed imparavamo ad utilizzare i diversi tipi di ripari per evitare i proiettili che ci piovevano addosso, un ghigno di soddisfazione si stampava sul nostro volto sporco e sudato. Un ghigno che si allargava a dismisura una volta padroneggiato a dovere l'arsenale. Mitragliatrice, lanciafiamme, lanciarazzi, fucile a pompa: un buon soldato sa che ogni arma ha i suoi punti di forza e di debolezza diversi e che ciascuna di esse va usata al momento e nel posto giusto. Ma spesso non ci bastava. Ecco perché a volte preferivamo prendere possesso dei mezzi nemici (Jeep, motoscafi, torrette antiaeree, addirittura un carro armato) ed utilizzarli per superare punti particolarmente affollati. La soddisfazione si tramutava così in sadico divertimento. E poi in pura esaltazione. Fu comunque dura. Molte volte, soprattutto verso la fine, pensammo di non farcela. Ma portammo a termine il compito assegnatoci. Perché nessuno poteva fermarci.

Quando eravamo re tutti, nell'ambiente, parlavano di noi. Poi gli anni sono passati. Le guerre sono cambiate. La tecnologia ha rovinato tutto. Oggi siamo in pensione. E nessuno si ricorda più delle nostre gesta. E pensare che una grande compagnia nipponica creò un videogioco apposta per narrarle. Era un prodotto straordinario. Mi bastò osservarlo per essere di nuovo preda di quell'irresistibile bisogno di fare ciò che avevo sempre fatto, spinto dallo stesso odore acre di sangue che seguivo come un lupo famelico quando ero sul campo di battaglia. Non giudicatemi e provateci anche voi. Scoprirete di non riuscire più a farne a meno.
Andrea Corritore
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