MORTAL KOMBAT II

GENERE: Beat'em Up | PRODUTTORE: Williams | SVILUPPATORE: Midway | GIOCATORI: 1-2 | ANNO: 1993
Terrificante spauracchio delle associazioni dei genitori. Capro espiatorio per le colpe di un'intera industria. Valvola di sfogo di frustrazioni represse. Semplice strumento di divertimento. Furba operazione commerciale. Brutta copia di Street Fighter 2. Durante gli anni Novanta, sia che si prenda in esame il lato sociologico che quello prettamente videoludico, tanti e altrettanto forzati ed inutili furono i modi in cui Mortal Kombat II venne definito. Perché l'opera Midway non era un semplice picchiaduro a incontri come tanti, ma lo strumento attraverso il quale l'estetica dissacrante e cruda degli anni Novanta americani entrava a forza dentro il mondo del divertimento interattivo.

Se Mortal Kombat (il primo) era un gioco tutto sommato dimenticabile (e dimenticato), con questo secondo episodio Ed Boon e John Tobias realizzano quello che rimarrà nella storia come il capolavoro in grado di connotarne per sempre le carriere. Più personaggi, più possibilità operative, più arene ma, soprattutto, più violenza. Le celeberrime Fatality, mosse che, una volta vinto l'incontro, permettono di finire nel modo più truculento possibile l'avversario, diventano almeno due per lottatore. Gli sconfitti vengono squartati, decapitati, sciolti, divorati, spezzettati, impalati, sgozzati, spappolati in una esaltante ed illimitata carneficina virtuale. Il sangue, di un rosso mai così intenso, scorre letteralmente a fiumi, inondando lo schermo, blindando la coscienza del videogiocatore, che si diverte perché sa che tutto ciò che sta facendo è frutto solamente di un'asettica sequenza di 0 e di 1. Il sadico ghigno di soddisfazione che si dipinge sul suo volto ogni volta che festeggia la vittoria con una morte raccapricciante, è degno delle scene più estreme di Natural Born Killers.

Proprio come nel capolavoro di Oliver Stone, Boon e Tobias utilizzano una rappresentazione della violenza platealmente eccessiva e sideralmente lontana dalla realtà per prendersi gioco delle contraddizioni di una società bigotta ed ipocrita. Mortal Kombat II è infatti un concentrato di provocazioni e sberleffi, tenuti insieme da una gusto per l'ironia di grandiosa efficacia. I protagonisti sono attori digitalizzati con costumi degni del peggior B-Movie di arti marziali. Basta che si sfiorino e gli schizzi di sangue prorompono copiosamente in maniera volutamente esagerata. Il contrasto tra il realismo estetico e l'irrealismo ludico porta ad un risultato finale grottesco, quasi demenziale. Le musiche tenebrose ed orrorifiche, le ambientazioni a metà strada tra paesaggi esotici e scenografie da Grand Guignol e le beotissime chicche sparse qua e là (una su tutte: il faccione ululante dell'ingegnere del suono Dan Forden che appare quando si centra il nemico con un cazzottone ben assestato), donano a Mortal Kombat II un'atmosfera unica e straniante, dove non sai mai se lo hanno creato così perché ci fanno o perché ci sono. Un'estetica intelligentemente e fieramente trash, costruita con una consapevolezza sorprendente e che rielabora in chiave interattiva il situazionismo nutrito ad hamburger e patatine di pellicole come Splatters di Peter Jackson o Wayne's World di Penelope Spheeris, condividendone la dissacrante comicità.

Non è importante stabilire se un simile, incredibile, insieme di significati sia il risultato di una attenta ed acuta pianificazione a tavolino oppure se sia stato frutto del caso. Quello che conta è la straordinaria riuscita di uno dei più importanti, visionari e maturi esperimenti sulla capacità espressiva del videogioco. Così efficace e dirompente da traghettare il titolo che lo veicola direttamente dentro l'immaginario collettivo di un'intera generazione di appassionati.
Andrea Corritore
Mortal Kombat II

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