STREET FIGHTER II: THE WORLD WARRIOR

GENERE: Beat'em Up | PRODUTTORE: Capcom | SVILUPPATORE: interno | GIOCATORI: 1-2 | ANNO: 1991
Chissà come sarebbe oggi il mondo dei videogiochi se, in un torrido pomeriggio d'estate di inizio anni Novanta, Akira Nishitani e Yoshiki Okamoto avessero ceduto alle pressioni dei propri capi, iniziando a sviluppare un seguito per Dokaben (cioè l'adattamento videoludico di Pat la Ragazza del Baseball...) invece del secondo episodio di quell'esperimento affascinante ma non esattamente riuscito che fu Street Fighter. Probabilmente, negli anni successivi, le idee innovative e la sperimentazione sugli altri generi avrebbero avuto maggiore spazio. Di sicuro ci saremmo risparmiati centinaia di cloni senza arte ne parte. Ma avremo anche dovuto fare a meno di quello che rimane tutt'ora uno dei più universali ed immortali classici che il divertimento elettronico abbia mai saputo offrire durante la sua breve e travagliata esistenza.

Il primo Street Fighter era un gioco discreto, ma nulla più. Riprendeva ed ampliava la struttura di Karate Champ, forte di un comparto tecnico notevole ma minato da una giocabilità nettamente inferiore, soprattutto a causa di un sistema di controllo che, nel suo voler essere a tutti i costi pionieristico (grazie all'utilizzo di enormi pulsanti a sensori di pressione), falliva miseramente nel restituire la giusta dose di divertimento. Tenuto conto di ciò e rimboccatisi le maniche, i due produttori nipponici (con il provvidenziale aiuto di Akira Yasuda) si travestirono da infallibili artificeri e, dando fondo alla Santa Barbara del proprio immenso talento, in due anni di sviluppo prepararono con maniacale meticolosità una polveriera di potenza incalcolabile, la cui esplosione cambierà per sempre il volto di un settore che troppo frequentemente si avvita su se stesso in periodi di stasi di insostenibile lunghezza. Non fu solo il successo commerciale senza precedenti, che investì l'agonizzante industria del divertimento a gettone come un maremoto facendola rinascere dalle proprie macerie, a rendere monumentale Street Fighter II. Fu, soprattutto, la sua sovranaturale capacità di saper parlare al cuore di tutti coloro i quali, durante quell'indimenticabile periodo, navigavano tra i flutti impetuosi dell'adolescenza, divenendo vero e proprio fenomeno di costume nonchè sogno bagnato da possedere e dominare.

Difficile dire quali siano i veri motivi di tale grandezza, posto che questa possa essere realmente ricondotta a fredde addizioni di numeri e asettici elenchi di caratteristiche. Si può però tentare un'analisi a posteriori, nel tentativo di non risultare troppo goffi nel mettere in fila razionalmente elementi che di razionale potrebbero avere ben poco. Per esempio postulando che il primo, vero, punto di forza era senza dubbio la combinazione tra la strabiliante direzione artistica ed un apparato tecnico che lasciava (e lascia) senza fiato. I lottatori sembravano dotati di vita propria e usavano in maniera ingenua ma estremamente efficace tutti i possibili stereotipi che definivano lo stile in quel periodo. Il protagonista duro ma buono, ovviamente giapponese, ed il suo corrispettivo statunitense spaccone (col cuore d'oro). Il lottatore di sumo incattivito dal trucco da attore Kabuki. Il marine americano con pettinatura improbabile che combatte per vendetta. L'uomo bestia dal passato misterioso proveniente dal Brasile. Il gigantesco wrestler russo reso rosso dalla vodka. La ragazza cinese fragile ma determinata e implacabile con chi la fa arrabbiare. L'ascetico santone indiano che meglio-se-non-lo-fai-incazzare-sennò-ti-mischia-le-ossa. Ogni nazione aveva il suo rappresentante che ne esprimeva al meglio i canoni culturali e comportamentali, determinandone l'immediato ingresso nell'immaginario collettivo di un'intera generazione di giovani, neanche fossero i membri del più famoso, influente e pericoloso gruppo Rock del mondo.

Si potrebbe però affermare che, in fondo, la qualità principale di Street Fighter II fosse non tanto la forma ma la sostanza, incarnata da una giocabilità stratosferica capace di raggiungere vette che pochissimi altri hanno saputo toccare. Perché tutti ed otto i personaggi (ve ne sono anche quattro segreti) sono realmente diversi, ognuno con precisi punti di forza e debolezze e tutti risultano perfettamente equilibrati. Perché il sistema di controllo, intuitivo ma completo, è associato ad un rilevamento delle collisioni assurdamente perfetto, che, reinterpretando il celebre principio Newtoniano in chiave nipponico-violenta, stabilisce che ad ogni colpo corrisponde una reazione, se non uguale almeno contraria. Ma anche perché la quantità di attacchi e la loro varietà lascia basiti, come la semplicità di esecuzione, ben lontana dalle ridicole contorsioni richieste nel predecessore. Senza dimenticarsi del vero piatto forte, e cioè un sistema di combattimento tanto semplice da padroneggiare quanto complesso ed appagante da approfondire. Come una sacra disciplina marziale, l'opera Capcom richiede dedizione e forte volontà di autoperfezionamento, ripagata da prestazioni che migliorano visibilmente K.O. dopo K.O. Con la giusta esperienza gli scontri abbandonano il semplice agonismo per divenire la versione in pixel del teatro Butho: nell'apparente disordine è in realtà celato il calcolo esatto di ogni singola mossa, un'armonia meravigliosa che crea godimento anche solo nel guardare.

È però in compagnia che Street Fighter II esprime al massimo le sue incredibili qualità. La pur eccellente intelligenza artificiale appare un semplice antipastino dopo aver partecipato al luculliano banchetto imbastito dai doppi con altri giocatori umani. È qui che l'incredibile bilanciamento rivela tutta la propria magnificenza. In due il capolavoro messo a punto dalla compagnia di Osaka può diventare una droga, dalla quale smettere è impossibile, anche dopo anni ed anni di gioco ininterrotto.

Street Fighter II è stato per il videogioco quello che i Nirvana sono stati per il Rock and Roll. Come il gruppo di Cobain non ha inventato niente, ma ha reinterpretato e portato verso nuovi ed irraggiungibili livelli quanto fatto da altri, dando origine ad un'infinita serie di cloni ed epigoni più o meno riusciti. Forse l'unico esponente della sua categoria per il quale l'aggettivo "generazionale" può essere speso senza risultare ridicoli. Il seguito di Dokaben? Quello, per fortuna, lo stiamo ancora aspettando.
Andrea Corritore
Street Fighter 2

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