SPARKSTER

GENERE: Action/Platform | PRODUTTORE: Konami | SVILUPPATORE: interno | GIOCATORI: 1 | ANNO: 1994
C’era una volta, ed ora non più, un’idea di videogioco che si accontentava di piccole cose per costruire grandi, grandissime esperienze. C’era una volta, ed ora non più, la Konami dei tempi d’oro. Che, prima di dedicarsi ad altro, su simili videogiochi minuti, semplici e straordinari aveva costruito il suo mito. C’era una volta, ed ora non più, una saga figlia di questa concezione incardinata sull’assenza di risorse ma sull’abbondanza di talento, che in appena tre anni ed altrettanti episodi, marchiò a fuoco i ricordi di quanti vi si imbatterono. Ne era protagonista un coraggioso Opossum corazzato ed armato di spada e zaino a reazione, ideato da quello stesso Nobuya Nakazato la cui mente aveva già dato vita ad un mito come Contra.

Si chiamava Sparkster e, dopo aver esordito su Mega Drive con l’eccellente Rocket Knight Adventures, dava il suo nome ad una coppia di giochi diversi seppur complementari. Il primo atterrava sul nero 16 bit SEGA mentre l’altro, per la prima ed unica volta, approdava sui nipponici lidi dell’acerrimo rivale Super Famicom facendosi classico immediato nonché vanto ed orgoglio dell’ammiraglia Nintendo. Se il capostipite della serie rileggeva in maniera visionaria il gioco d’azione a scorrimento prevalentemente orizzontale aggiungendovi una forte componente sparatutto, Sparkster in versione grande “N”, pur non rinnegando le origini, spostava con decisione l’accento sulle dinamiche puramente piattaformiche, tanto da rivelarsi una delle più originali interpretazioni del genere.

In Sparkster il protagonista conserva, raffinandole ed ampliandole, tutte le abilità già viste su Mega Drive: oltre a correre, saltare ed aggrapparsi con la coda a vari appigli più o meno naturali, è anche in grado di utilizzare i razzi del suo zaino (dopo aver caricato l’apposita barra tenendo premuto il tasto di attacco) per schizzare a tutta velocità, spada in resta, verso avversari, oggetti e passaggi troppo alti o lontani per poter essere raggiunti normalmente. Così come può, rimanendo fermo sul posto, trasformarsi in una letale trottola vivente capace di infliggere ingenti danni a qualunque cosa tocchi. La facoltà di proiettarsi rapidissimamente a destra e sinistra completa un quadro fatto di mobilità acrobatica totale e grande flessibilità operativa. Fattori, questi, che l’opera Konami costringe ad imparare prima e sfruttare al massimo poi, se si vuol raggiungere indenni, o quasi, il termine dei percorsi.

E' chiaro che Sparkster non possiede meccaniche particolarmente profonde ed articolate. E la cosa, lungi dal rappresentare un limite, si rivela invece scelta consapevole ed indovinata. Perché il titolo targato Osaka, in questo modo, è libero di puntare tutto sulla messa in scena, che è costretta a farsi questione oltre che di forma, anche di sostanza, caricandosi sulle spalle il pesante fardello di rendere grande quando non grandissima l’avventura del piccolo marsupiale. Obiettivo centrato in pieno tramite un’idea tanto semplice quanto indovinata: far emergere gli elementi ludici con cui interagire dalle formidabili sequenze predefinite che vanno esse stesse a scandire la progressione delle singole aree. Ogni centimetro di percorso è infatti costellato da eventi inaspettati e spettacolari, dai quali si sviluppano trappole, ostacoli, nemici, persino le piattaforme stesse, in una sequenza esplosiva di pura meraviglia coreografica senza soluzione di continuità.

Tutto ciò significa una sola cosa: l’azione che Sparkster propone è letteralmente mozzafiato. Un’adrenalinica successione di momenti epici che non trova requie, inaugurata dallo scontro all’ultimo bullone contro un gigantesco androide dalle fattezze scimmiesche e chiusa dal duello con la nemesi del protagonista a suon di cazzottoni meccanici a bordo di un colossale meccanoide antropomorfo, passando per una corsa a velocità supersonica in groppa ad un pittoresco struzzo robotizzato e mille altre diavolerie una più assurda e scenograficamente efficace dell’altra. Giocare l’opera Konami significa quindi intraprendere un viaggio senza cinture sulle montagne russe, con la certezza che divertimento, stupore e soddisfazione per essere usciti indenni da un simile pandemonio grazie alla propria abilità manuale, saranno sempre al massimo.

Una realizzazione tecnica ai vertici della categoria per dettaglio, effetti speciali e fluidità accompagnata da una coloratissima estetica che gronda purissimo, infuocato, spirito Arcade da ogni pixel fa infine da degna cornice ad una delle più riuscite, affascinanti e originali tele della fu grande “K”. Uno di quei giochi che c’erano una volta, ed ora non più. Ma la luminosa ispirazione dalla quale prese forma è ancora oggi capace di accendere il cuore di qualunque appassionato, soprattutto se vive nella (vana?) speranza che Konami recuperi almeno un briciolo della sua passata gloria...
Andrea Corritore
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