TEKKEN

GENERE: Beat'em Up | PRODUTTORE: Namco | SVILUPPATORE: interno | GIOCATORI: 1-2 | ANNO: 1995
Difficile descrivere lo stupore ed il senso di meraviglia provati dai pochi fortunati che, per primi, posarono le avide grinfie su una copia di Tekken per Playstation, nel 1995. Se in sala il gioco, uscito pochi mesi prima, era stato oscurato da un Virtua Fighter 2 talmente superiore da divenire inarrivabile, a casa la storia era completamente diversa. L'avversario più pericoloso era rappresentato ancora dalla conversione realizzata in (troppa) fretta del primo Virtua Fighter per Saturn, ed anche il coevo Toshinden, per quanto tecnicamente impressionante, non era assolutamente in grado di reggere il confronto.

Un fortunata serie di coincidenze che, in combinazione con gli eccellenti risultati tecnici e ludici raggiunti dai programmatori Namco, trasformò il "torneo del pugno d'acciaio" (traduzione letterale del nipponico titolo) in uno dei nomi simbolo della neonata macchina Sony, un marchio tanto forte da essere associato all'immagine stessa della console. Un gioco così spettacolare da lasciare stupefatti tutti gli ingenui che vi si approcciavano, Michael Jackson per primo, impressionato ospite d'onore all'E3 del 1995, dove rimase letteralmente ipnotizzato davanti al titolo creato dall'altra grande "N".

Strutturalmente, Tekken era un picchiaduro ad incontri poligonale che riprendeva la meccanica realistica e basata su concatenamenti di una gran quantità di mosse (tanto semplici quanto naturali da eseguire) del maestro Virtua Fighter. Caratterizzata da un'azione frenetica e da un eccellente bilanciamento delle meccaniche, l'opera Namco sapeva essere goduriosamente divertente sia in singolo (nonostante un'intelligenza artificale degli sfidanti non priva di limitazioni) che, soprattutto, in doppio. Rispetto al capolavoro SEGA, Tekken era meno vario, profondo ed armonioso, ma non era un problema, perché il divertimento raggiungeva comunque livelli elevatissimi. Inoltre, Namco seppe valorizzare una qualità che Yu Suzuki non aveva perso tanto tempo a sviluppare: la personalità.

Il carisma dei personaggi bucava letteralmente lo schermo. Dalla pettinatura crinecornuta di Kazuya alla coda da leopardo di King, passando per gli urli alla Bruce Lee di Marshall Law fino ad arrivare ai giganteschi bicipiti di Jack, ogni combattente era caratterizzato in maniera grandiosa, imprimendosi senza difficoltà nell'immaginario collettivo di giocatori sempre più sbalorditi e rendendo Tekken l'unico, vero, erede spirituale della filosofia estetica di Street Fighter 2. Anche i fondali, semplici immagini digitalizzate in bassa definizione, sapevano emanare un fascino magnetico e rendevano l'atmosfera unica, con i loro colori caldissimi e le loro ambientazioni tanto sterotipate da farsi archetipo.

A tutto ciò c'era da aggiungere la spettacolarità delle mosse, molte delle quali entrarono direttamente nella storia del genere (c'è qualcuno che si è forse dimenticato la camminata sul petto dell'avversario di Law o le devastanti chiavi articolari, con tanto di agghiacciante rumore di ossa spezzate, di Nina Williams?) e una realizzazione tecnica spaccamascella: sessanta fotogrammi al secondo solidi come l'acciaio citato nel titolo, media risoluzione e dei modelli che facevano paura per quanto erano dettagliati e bene animati. Anche la colonna sonora (disponibile in versione normale o con i brani riarrangiati appositamente per l'occasione) era di primissimo piano, con composizioni Drum'n Bass adrenaliniche e adattissime alla ferocia degli scontri.

Nonostante la netta superiorità di Virtua Fighter 2 (e, se si prende in esame la giocabilità, persino di Virtua Fighter), l'importanza, la "botta" che Tekken diede agli appassionati assuefatti alla grafica bidimensionale fu tale da sconvolgere per sempre le loro abitudini. Le riviste dell'epoca calarono inesorabili i loro 95% e, forse meglio di chiunque altro, fu l'indimenticato Paolo Cardillo di Super Console a saper sintetizzare tutto ciò in un'unica quanto storica frase: "Tekken è galatticoooooooo!!!!!!!!".
Ipse dixit.
Andrea Corritore
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