VIRTUA FIGHTER REMIX

GENERE: Beat'em Up | PRODUTTORE: SEGA | SVILUPPATORE: AM2 | GIOCATORI: 1-2 | ANNO: 1995
"La gatta frettolosa partorisce gattini ciechi" recita un noto quanto colorito proverbio tipico dell'Italia centrale. E non potrebbe esserci metafora migliore per descrivere la SEGA di metà anni Novanta. Se in sala giochi la fu grande "S" era la dominatrice incontrastata, con una serie impressionante di capolavori che ridefinirono il concetto stesso di divertimento elettronico traghettandolo in maniera totale nella terza dimensione, a casa la situazione era ben diversa. Il Master System non era riuscito nemmeno a scalfire lo strapotere del Famicom della Nintendo, mentre il Mega Drive dovette accontentarsi di un onorevole secondo posto dietro il ben più evoluto Super Famicom.

Trovatasi a rincorrere un concorrente perennemente un passo avanti, la casa nipponica decise di anticipare le mosse della rivale progettando in tutta fretta il successore del suo nero 16 bit, con l'idea di renderlo il sogno bagnato di tutti gli appassionati di grafica bidimensionale. Eppure i tempi stavano cambiando, l'utopia poligonale, dalle sale giochi più "in", si stava spostando con il suo carico di suggestioni e mirabolanti promesse verso le mura domestiche e persino una ancora inesperta Sony stava iniziando a far davvero paura, con una macchina totalmente dedicata al 3D. SEGA era di nuovo indietro. Panico, stridor di denti, inevitabile quanto approssimativa corsa ai ripari: con una decisione presa all'ultimo momento, il Saturn (questo il nome scelto per la nuova console) avrebbe montato un processore aggiuntivo apposta per la gestione della grafica in tridimensione. Al diavolo l'equilibrio progettuale, la facilità di sviluppo, le reali prestazioni. C'era da cavalcare l'onda e bisognava farlo il prima possibile. Ed i giochi? Ancora più facile: il pubblico Arcade era letteralmente innamorato dei grandi capolavori che SEGA gli aveva regalato, possibile che non avrebbe pagato fiori di dindini per rigiocarli nella comodità della propria cameretta, senza puzza di fumo e senza i coatti che ti taglieggiano per "du spicci, sinnò te spacco"?

Tutto bellissimo e semplicissimo: come in un sogno. Ma anche i sogni più incredibili possono trasformarsi in incubi quando non si fanno le cose con la dovuta cura e la necessaria calma. Il Saturn arrivò nei negozi nell'ottobre del 1994, ed insieme ad esso c'erano le conversioni dei due grandi successi del momento: Daytona USA e Virtua Fighter. Grande fu la sorpresa delle migliaia di appassionati che si aspettavano di poter rivivere a casa le emozioni provate davanti ai rispettivi coin-op. Entrambi i titoli infatti non erano che pallide imitazioni degli originali, piagate da problemi tecnici a iosa. Una delusione cocente che fece inarcare il metaforico sopracciglio persino alle esaltate riviste dell'epoca. Nelle recensioni, nelle rubriche della posta, nei negozietti specializzati (si, a quell'epoca ancora esistevano), persino dal pizzicagnolo sotto casa, l'argomento era uno solo: che c'era che non andava nel povero SEGA Saturn? Era davvero una sola clamorosa come sembrava? Possibile che un'azienda totalmente inesperta come Sony fosse riuscita a proporre un sistema platealmente migliore, con mezze tacche come Ridge Racer e Toh Shin Den che ridicolizzavano gli onnipotenti giochi-simbolo creati dal guru Yu Suzuki?

La realtà era fortunatamente un'altra. SEGA conosceva bene le potenzialità della propria creatura e tentò di correre immediatamente ai ripari. Il Saturn era difficile da gestire e da sfruttare? Ecco che Suzuki in persona si impegnava a realizzare un nuovo gruppo di strumenti di sviluppo, le SEGA Graphics Libraries che avrebbero consentito anche al più brocco dei programmatori di ottenere il massimo risultato con il minimo sforzo. La percezione del pubblico era quella di avere per le mani una macchina destinata al fallimento? La spregiudicata campagna pubblicitaria messa in piedi dai creatori di Sonic avrebbe convinto anche i più scettici sulla bontà dell'offerta. Ma, prima di ogni altra cosa, c'era da chiedere scusa ai giocatori per le schifezze che si dovettero ingurgitare nei primi mesi di permanenza sul mercato del grigio 32 bit.

Ecco che cos'è Virtua Fighter Remix. Un gigantesco, imbarazzato e goffo biglietto di scuse a tutti coloro che avevano avuto fiducia (e speso soldi) nella console con gli anelli, che finalmente iniziava a venir sfruttata in maniera adeguata. L'idea era davvero gustosa: prendere il primo Virtua Fighter e correggere tutto quello che era andato storto. Non più spogli ed anonimi lottatori messi insieme con quattro triangoli nudi, ma combattenti realizzati con gran spreco di poligoni, addolciti da morbide routines di goraud shading e ricoperti da dettagliatissimo texture mapping. Basta con rallentamenti e scatti, ma una renderizzazione piantata su trenta fotogrammi al secondo solidi come la roccia. Addio collisioni imprecise e difetti di programmazione, benvenuto ad un motore di gioco praticamente perfetto e identico spicciato a quello ammirato in sala. E come corollario, tutta la giocabilità, la profondità, l'armonia e il carisma del primo, indimenticabile, episodio di una saga che reinventò il picchiaduro da zero.

Virtua Fighter Remix è tutto qui: un Virtua Fighter all'ennesima potenza, un titolo mostruosamente coinvolgente, bello da vedere e da sentire e straordinariamente divertente da giocare. Ma anche un'ammissione di colpevolezza storica e un nuovo inizio per una tra le più bistrattate, criticate e amate console di sempre. Ci perdoni il lettore per aver fatto coincidere l'intera recensione del gioco con la storia del Sega Saturn, ma non si poteva fare altrimenti, dato che raramente un unico titolo ha rappresentato così alla perfezione tutte le anime e le contraddizioni di una singola macchina.
Andrea Corritore
Virtua Fighter Remix

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